CALESSE
veicolo a due ruote per il trasporto di persone, generalmente trainato da un solo animale da tiro, evoluzione in veste lussuosa del barroccio, dal quale deriva
Il calesse
Il termine calesse trae origine da kolesa che in diverse lingue slave significa "ruote" o concetti analoghi.
D'uso comune fino alla prima metà del XX secolo, il calesse era il veicolo maggiormente utilizzato per gli spostamenti veloci con limitate quantità di bagagli o materiali.
In considerazione del fatto che non tutte le famiglie potevano permettersene uno, il calesse divenne anche uno strumento di distinzione sociale.
La presenza di due sole ruote comporta il necessario aggancio ai finimenti del cavallo o dell'asino o del Pony, al fine di assicurare la stabilità longitudinale del veicolo che, in caso di inutilizzo, si inclina ruotando sull'asse trasversale, fino a poggiare sul terreno il traverso posteriore. Per tale caratteristica è facilmente rimessabile in barchesse o porticati, nei quali sfrutta lo spazio in altezza.
In alcuni casi dotato di copertura retraibile detta "mantice", il calesse era il mezzo preferito da chi voleva percorrere velocemente i lunghi tratti che collegavano i fondi agricoli ad altri fondi viciniori o alle città.
Varianti del calesse sono la calessa e il calessino. La calessa, tipica del sud Italia, consiste in un robusto calesse di generose dimensioni, usato per il trasporto di molti passeggeri. Il calessino è un piccolo calesse particolarmente leggero, adatto ad essere trainato da animali di piccola taglia, oppure concepito per raggiungere alte velocità, in questo caso generalmente assumendo la denominazione di "padovanella". Il suo nome ha origine dalla città di Padova, dove si svolgevano molte gare per tutto il XVIII secolo. Poi si sono diffuse in tutta Italia.
Storia
La sua storia risale fin dalle popolazioni preistoriche. In seguito la civiltà romana utilizzò carri a trazione animale.
L’uso si estese fino al medioevo.
Assieme a buoi, vacche e vitelli, molti contadini allevavano nelle loro stalle anche un cavallo o piuttosto una cavalla, della quale potevano vendere periodicamente anche i puledri. Se ne servivano soprattutto per il tiro dei veicoli destinati al trasporto di persone ed eventuali carichi leggeri. Con il biroccino (bruzén) portavano le regalie (uova, galline, capponi, uva) al padrone, il latte al caseificio, oppure trasportavano a casa o al mercato i lattonzoli di maiale o i vitelli. Con il calesse dalle ruote di legno gommate (dumadòura) andavano invece in chiesa, in paese, al mercato, alle fiere e a fare i conti con il fattore. A metà Ottocento, il “comune uso presso i contadini di tenere propri cavalli”, pur tollerato, era guardato con sfavore da una parte dei possidenti e un agronomo come Giovanni Contri ne sottolineava i danni recati agli allevamenti d’interesse anche del proprietario con lo spreco di “foraggio e di pascolo per solo alimento del vizio e dell’orgoglio contadinesco”.
Cenni storici
Giurdignano è un luogo dalle antichissime origini. Frequentato in epoca romana, come testimoniano i resti di una necropoli di età imperiale del II-III secolo dopo Cristo rinvenuta in località Cantalupi, divenne uno dei luoghi d'elezione dei monaci italo-greci che qui hanno lasciato preziosissime testimonianze. In seguito fu un ambito feudo con castello. Nel 1192 Tancredi D'Altavilla, Conte di Lecce e Re di Sicilia infeuda Giurdignano a Niccolò De Noha a cui succede, il figlio Guglielmo che nel 1269 viene privato del feudo da Carlo 1° D'Angiò che lo dona ad Erardo Fremi da cui passa nel 1272 a Filippo De Tuzziaco.
A lui successe il figlio Ezelino, quest'ultimo morì subito dopo ed i parenti non vollero venire in Italia per prendere possesso dei suoi beni. Per tanto (con regio diploma del 23 gennaio del 1273) i beni furono devoluti in toto alla Regia Corte. Fu Filippo d'Angiò ad infeudare Giurdignano al suo medico personale Giacomo Pipino, feudo confermato poi da Re Carlo II d'Angiò. Nel 1323 a Giacomo Pipino subentrò Guidone Sambiasi che sposò in prime nozze Filippa di Roberto Cerasoli da cui ebbe sei figli: Letizia, Megalia, Violante, Roberto (che fu Barone di Melpignano e Torchiarolo) Rinaldo, Filippo (che fu Barone di San Vito e Torchiarolo e sposò in seconde nozze, nel 1334, Caterina dell'Antoglietta).
A Guidone succedette Rinaldo che sposò Giovanna di Belloluogo, la loro figlia Antonella vendette infine il feudo, nel 1340 a Giovanni Filippo Santacroce. Nel 1373 Giovanni Filippo vendette Giurdignano a Giacomo Venturi, il quale nel 1349 aveva sposato Antonella Sambiasi. Alla sua morte gli succedette il figlio Leonardo detto "Monaco" il quale sposò Filippa Carmignano, uno dei loro figli, Roberto sposò Elisabetta Dell'Acaya. Fu Giovanni Antonio Orsini del Balzo a sottrarre il feudo ai Venturi per poi cederlo, nel 1439,a Margherita Dell'Acaya che lo acquistò per conto del figlio Buzio De Noha di cui era tutrice. Quest'ultimo ricevette la formale investitura del feudo di Giurdignano dal Re di Napoli Alfonso d'Aragona. Alla morte di Buzio (27/12/1466) gli succedette il figlio Antonello a cui il feudo fu confermato dalla Regia Corte il 15 settembre 1467. A lui successe il figlio Niccolò avuto dal matrimonio con Antonia di Raffaele Maremonti, la formale investitura avvenne nel 1472.